XX XY La costruzione sociale dei sessi 


Donald SASSOON

18 aprile, ore 18, Salone del Maggior Consiglio


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Introduce Luca Borzani

“La rivoluzione più lunga” (Juliet Mitchell), la rivoluzione contro la più antica disuguaglianza, quella tra uomini e donne, è da qualche decennio all’ordine del giorno. Ma il suo inizio è avvenuto ben prima degli anni Sessanta e Settanta. È cominciata con l’Illuminismo quando la lotta per l’uguaglianza tra i sessi divenne parte integrante della definizione di modernità e quando la modernità stessa cominciò ad acquisire connotazioni universalmente positive. Tra i protagonisti vi furono non solo donne ma anche uomini davvero “illuminati”. Il nuovo atteggiamento, che oggi chiameremmo “femminista”, cominciò a svilupparsi, in un primo momento, come sempre, tra le élite intellettuali. Fénelon nel suo Traité de l’education des filles, (1687), dichiarava che le donne non avrebbero più dovuto obbedire ciecamente ai loro mariti, che l’educazione delle ragazze è importante tanto quanto quella dei maschi perchè le donne influenzano i costumi e educano i figli e che dunque sono responsabili de l’avenir de l’humanité. In Inghilterra Judith Drake, nel suo Un saggio in difesa del sesso femminile (1696), difendeva i valori moderni dell’educazione, esclamando: “Le donne, come i neri nelle nostre piantagioni, sono nate schiave e vi rimangono per tutta la vita”. François Poulain de la Barre, un seguace di Cartesio spiegava come le differenze sessuali non fossero innate ma culturalmente costruite (De l ‘égalité des deux sexes 1673). E il grande David Hume scriveva nel 1742: “Sono del parere che le donne, le donne di intelligenza e di cultura (solo a queste mi volgo) sono giudici molto migliori della letteratura colta che gli uomini dello stesso livello (...) tutti gli uomini di buon senso, che conoscono il mondo, hanno un grande rispetto per il loro giudizio (...)”. Fu questo nuovo clima culturale che produsse le prime grandi sfide alla costruzione tradizionale dei sessi. Tra i pionieri, in Francia, troviamo Olympe de Gouges che, nella sua Déclaration des droits de la femme et de la Citoyenne (settembre 1791), che seguiva la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, rivendicava la piena parità dei sessi chiedendo agli uomini: “(...) chi vi ha dato il diritto sovrano di opprimere il mio sesso? (...) in questo secolo di luce e di saggezza, voi sguazzate ancora nell’ignoranza più crassa e, con con la pretesa di sostenere la Rivoluzione e l’uguaglianza, volete governare come despoti su un sesso che possiede tutte le facoltà dell’intelletto”.
Olympe de Gouges, generosamente, dedicava il suo libro a Maria Antonietta in segno di solidarietà femminile. Olympe non era un’aristocratica, ma era figlia di un macellaio. Subì la stessa sorte della sfortunata regina. Fu ghigliottinata il 3 novembre 1793. L’anno precedente aveva dichiarato che “se la donna ha il diritto di salire sul patibolo dovrebbe ugualmente avere il diritto di salire in tribuna”. In Inghilterra, in A Vindication of the Rights of Woman (1792) Mary Wollstonecraft sosteneva che la società, costringendo le donne in una condizione di passività e dipendenza, le rendeva di fatto inferiori: “(...) come possono le donne essere di spirito nobile quando sono schiave dell’ingiustizia?(...) Date alle donne gli stessi diritti e sapranno emulare le virtù dell’uomo”. Alcuni uomini, illuminati dalla Rivoluzione francese, scesero in campo con le femministe. Condorcet nel suo saggio Sull’estensione alle donne il diritto di cittadinanza (Sur l ‘admision des femmes au droit de cité, 3 luglio 1790) sosteneva che una società che discriminava le donne non poteva essere ritenuta veramente civile, dal momento che non vi erano motivi razionali per qualsiasi discriminazione. John Stuart Mill nel famoso saggio La Sottomissione delle donne, (The Subjection of Women 1869) - l’unico libro di quest’autore che non fu un successo commerciale - dichiarava che la subordinazione delle donne era uno degli ostacoli principali al progresso dell’umanità.

I primi socialisti erano anch’essi convinti di questo: Friedrich Engels, nella sua critica alla famiglia, dichiarava che la “donna fu il primo essere umano a conoscere la schiavitù. La donna fu schiava prima che gli schiavi esistessero”. Il libro del leader social-democratico tedesco August Bebel, Die Frau und der Sozialismus, (1879) fu subito uno dei testi fondamentali del movimento operaio europeo. Ma molto prima, nel 1808, il socialista “utopistico” Charles Fourier scriveva che “L’estensione dei diritti alle donne è la misura generale di ogni progresso sociale”. Molti anni dopo, questo concetto fu ripreso da Karl Marx che, in una lettera a Kugelmann (12 dicembre 1868), dichiarò: “Chi conosce la storia sa che i grandi mutamenti sociali sono impossibili senza il fermento femminile. Il progresso sociale si può misurare con precisione dalla posizione sociale del gentil sesso”. Nel corso del XIX secolo una nuova immagine della donna emerse: la donna come protagonista. Il nuovo culto di Giovanna d’Arco fu sviluppato dai nazionalisti francesi sia laici che religiosi. L’immagine della donna fu utilizzata per rappresentare la nazione: nel settembre del 1792 l’immagine di Marianne fu adottata come icona della libertà e della Francia. E la libertà fu poi rappresentata nel celebre dipinto di Delacroix come una donna (a seno nudo) che guida il popolo. Le nazioni si dettero attributi femminili: La Patria, la madrepatria come nella Germania dipinta da Philipp Veit ( 1848). E la Polonia di Jan Matejko (1863) che si prepara ad essere incatenata da ufficiali russi. La bionda accanto a lei è probabilmente la Lituania. E poi Britannia in Inghilterra, Madre Russia, e, in Italia, l’Italia Turrita. Venne coinvolta anche la Chiesa. Accanto alle sante di sempre una presenza più decisamente femminile emerse con il sorgere del culto della Vergine Maria, molto più intenso nel XIX secolo che nei secoli precedenti e che sfociò nella creazione di un nuovo dogma: quello dell’Immacolata Concezione (1854). Quattro anni più tardi, nel 1858, la Vergine apparse a Bernadette Soubirous a Lourdes, poi apparirà anche a Marpingen in Germania (1876) e di nuovo a Fátima in Portogallo nel 1917. Da parte laica, verso la fine del XIX secolo emerge la Donna Nuova, the New Woman, la femme nouvelle, emancipata, forte, che sa il fatto suo (con il terrore di alcuni uomini), il tutto in coincidenza con l’inizio del movimento per il diritto di voto alle donne. Tra il 1889 e il 1900 ben ventuno riviste femministe apparvero in Francia e si tennero congressi femministi a Parigi nel 1892, 1896, 1900 e 1896. La Revue encyclopédique dedico un numero speciale à la femme nouvelle. Ma dobbiamo evitare di essere troppo eurocentrici. Il diritto delle donne al divorzio, concesso in Francia solo alla fine dell’Ottocento, contrariamente a quanto pensano molti, nell’Islam esisteva da molti anni. Una ricerca di uno studioso israeliano ha stabilito che il divorzio per iniziativa della donna verso la fine del Medioevo era diffuso in città quali Damasco e il Cairo e che, mentre in Occidente il divorzio viene associato in Europa con la modernità, così non era altrove. Nel Giappone pre-moderno un matrimonio su otto finiva con un divorzio. E non esisteva un pregiudizio che potesse ostacolare un nuovo matrimonio con una divorziata. Naturalmente, le cose sono cambiate notevolmente e la donna occidentale è oggi (giustamente) considerata un modello di emancipazione rispetto a molte altre culture. Ma anche qui dobbiamo anche evitare di riprodurre un luogo comune tipicamente ottocentesco secondo il quale tutta la storia è la storia del progresso. In realtà la modernità ha un lato oscuro. Le convenzioni del passato che osserviamo oggi con un senso di superiorità, anche se ponevano la donna in una condizione subalterna, concedevano a molte di loro un senso di dignità e di rispetto sociale, a patto di osservare le regole. Queste regole sono state decisamente contestate, il che è certamente positivo, ma l’emergere di nuove regole, più eque per tutti, richiederà molto tempo. Prendiamo, per esempio, il commercio del sesso. La prostituzione è considerata la più antica delle professioni, ma nella nostra epoca, ha seguito la tendenza del capitalismo e ha acquisito caratteristiche globali. Ora questo fiorente commercio globale è una delle piaghe più agghiaccianti del nostro tempo. Pensateci. Giovani donne più o meno costrette ad emigrare e poi, per paura, costrette a prostituirsi, trattate come merce, sottoposte a minacce costanti, per potere poi essere violentate più volte al giorno, perchè ben di questo si tratta quando si fa sesso non per piacere ma per paura. Non è questa una forma di tortura? Non è questo un problema di gran lunga peggiore di terrorismo? Eppure affligge tutte le nostre società cosiddette civili. Per non parlare della violenza che molte, troppe donne, nostre madri, nostre figlie, nostre sorelle, subiscono.
La “rivoluzione più lunga” ha ancora un lungo cammino da percorrere

 
Fotografie Giampaolo Cavalieri
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