CHICAGO BOYS


17 aprile, ore 21, Sala del Maggior Consiglio


Testo e regia Renato Sarti
Con Renato Sarti, Elena Novoselova
Video realizzati in collaborazione con Fabio Bettonica e N.A.B.A. – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano
Produzione Teatro della Cooperativa

Lettura scenica ispirata al gruppo di economisti che, negli anni Settanta, si formò presso l'Università di Chicago sotto la guida di Milton Friedman, teorico, tra gli altri, della teoria neoliberista.
Un racconto dell’epopea del capitalismo gangsteristico che, usando cinicamente ogni mezzo, dalla guerra alla catastrofe naturale, dalla menzogna mediatica al ricatto della sicurezza, è riuscito ad asservire e sfruttare gli uomini privandoli della loro dignità. Un rapporto delle Nazioni Unite sulla povertà mondiale rivela che ogni giorno muoiono 4.900 bambini per mancanza di acqua potabile. Il protagonista di “Chicago Boys” è uno spietato finanziere capitalista appartenente a quello 0,15% di abitanti del pianeta che continua ad arricchirsi a spese del 99,85% della popolazione mondiale.

“Ad un miracolo economico corrispondono schiavitù e miseria per la popolazione? Sì!” Con questa frase comincia Chicago boys,una specie di conferenza “strampalata, senza lieto fine” che si svolge in un rifugio antiatomico. Una esaltazione surreale del capitalismo, del consumismo e della liberalizzazione più sfrenata. I Chicago boys sono stati un gruppo di economisti formatosi negli anni Settanta presso l’Università di Chicago, sotto l’egida del grande guru del liberismo, Milton Friedman, nobel per l’economia nel 1976. Friedman e i suoi seguaci esercitarono una profonda influenza sulle politiche economiche di molti stati, gli USA del presidente Ronald Reagan e l’Inghilterra del primo ministro Margaret Thatcher e poi dal Cile all’Argentina, dal Brasile alla Polonia, dalla Cina alla Russia, ecc. Le grandi multinazionali hanno avuto un ruolo di primissimo piano in un processo che ha portato allo smantellamento dello stato sociale, visto e combattuto come un virus infettivo, come un arto in cancrena da amputare. “Ma una stampella può camminar da sola?”. No. L’imposizione di questo tipo di economia è sempre stata preceduta e accompagnata da golpe, da spietate dittature, da sanguinose repressioni di piazza, dai desaparecidos, dalla tortura. Chiamare privatizzazioni le grandi razzie compiute nei confronti dei paesi poveri è un eufemismo. Queste politiche economiche hanno significato per una vasta parte delle popolazioni di quei paesi licenziamenti, diminuzione degli stipendi, delle pensioni, degli ammortizzatori e delle garanzie sociali, ma anche aumento dell’alcoolismo, delle tossicodipendenze, dei malati di AIDS, della prostituzione minorile, della miseria, della malavita, degli omicidi e dei suicidi. Che negli ultimi decenni le grandi multinazionali abbiano puntato l’attenzione pure su materie prime, come l’acqua, i cui titoli in borsa crescono mediamente del 30%, non è un dato meramente economico o finanziario: un rapporto delle Nazioni Unite sulla povertà mondiale rivela che ogni giorno muoiono 4.900 bambini per mancanza di acqua potabile. Il nostro protagonista sguazza (mangia e si disseta) in una vasca, stile catafalco, piena d’acqua imputridita dai suoi stessi rifiuti. Al suo fianco una escort russa, che, dopo venti anni di schiavitù cerca il riscatto. Fra le anguste pareti del rifugio si consuma fra i due una lotta senza esclusione di colpi, una sorta di paradossale, e letale, guerra fredda,formato mignon. “Pubblicizzare le perdite e privatizzare i guadagni”. Il buon capitalista cade sempre in piedi; sa come avvicinare o allontanare lo stato (succhiando finanziamenti o evadendo le tasse) a seconda del momento e degli interessi eppure il ruolo che lo stato può avere nelle economie è tornato prepotentemente in voga proprio negli States!
Chicago boys non vuole essere una rievocazione museale del crollo del muro, in occasione del ventennale, bensì un tentativo di rispolverare un po’ del buon vecchio Marx, e rammentare a coloro che per decenni hanno operato al motto di “Libera volpe in libero pollaio”, il proverbio greco: “Se vedi che non ti sazi, fermati!”.

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