L'utopia secondo Charlie Chaplin


Marco SALOTTI

sabato 6 aprile, ore 21 Sala del Maggior Consiglio


Negli anni Trenta, in coincidenza con l’affermarsi del sonoro, Charlie Chaplin abbandona progressivamente la maschera del clown e diventa profeta, “filosofo” utopista.
Il suo cinema non si accontenta dell’invenzione mimica e gestuale, deve contenere anche il “logos”, la riflessione su un presente storico sempre più inquietante: Grande Depressione, insorgere dei totalitarismi, guerre guerreggiate e previste nel futuro.
Già in Luci della città (1931) ritraeva le contraddizioni del mondo capitalista: buono quando è ubriaco, cattivo quando è sobrio, anticipando Brecht e il suo apologo Puntila e il suo servo Matti. L’utopia negativa del Mondo nuovo di Huxley (1932) sembra estendersi su Tempi moderni (1936). Non è un caso che Huxley sia tra gli invitati alla proiezione privata in anteprima del Grande dittatore (1940) assieme a Steinbeck, Milestone, Anita Loos e altri sodali dell’antifascismo militante. Se il finale di Tempi moderni esaltava la fuga sulla strada, prefigurando l’anarchismo utopico della generazione beatnikj, l’epilogo del Grande dittatore è segnato dal trionfo del “logos”. Chaplin fa sentire la sua voce al cinema per rivolgere un appello agli uomini di buona volontà contro l’ingiustizia sociale e la volontà di potenza delle dittature. D’altra parte Chaplin aveva progettato un film in cui Napoleone fugge da Sant’Elena non per riprendere le guerre, ma per fondare un’Europa pacificamente unita dagli scambi, dal commercio e da una moneta unica… l’isola di Sant’Elena come l’isola di Ventotene? Utopie prima dell’apocalisse annunciata da Monaco?