Melancolia occidentale. La montagna magica di Thomas Mann


Luca CRESCENZI

domenica 7 aprile, ore 12 Archivio Storico


Quando Thomas Mann, dopo sei anni di interruzione, rimette mano alla Montagna Magica, nel 1919, il mondo in cui il romanzo aveva faticosamente preso l’avvio non esiste più.
La guerra, la rivoluzione, i tentativi spartachisti di dare forma a una Repubblica dei Consigli anche in Germania hanno trasformato il volto della realtà e l’Europa è prossima ad entrare in una fase di grandi e, infine, terribili trasformazioni. La cultura tedesca conosce tuttavia, proprio nel decennio postbellico, una fase di straordinaria vitalità caratterizzata da due tendenze opposte: una diagnostica e apocalittica e un’altra fortemente utopistica.
La caratteristica distintiva della Montagna magica, come romanzo, ma anche e soprattutto come documento di quella cultura, è di porsi esattamente a metà fra queste due tendenze o, meglio, di condividerle entrambe. Da una parte c’è la visione di un’Europa profondamente pervasa da una cultura della morte che nella guerra trova la sua espressione più eclatante, dall’altra c’è l’idea su cui Thomas Mann impianta tutta la struttura del romanzo: l’idea che la distruzione del vecchio mondo possa essere il presupposto del nuovo, che con la guerra sia finita una cultura fondata su una visione melancolica del mondo e possa ora nascere non solo una diversa Europa, ma anche una diversa umanità. Un nuovo tipo umano che sia il presupposto e il centro di una rivoluzione nel modo di sentire e nel modo di pensare da cui prenda l’avvio una nuova fase della storia del mondo.

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