Il mondo alla rovescia. Storie di sovversivi, sognatori e sofferenti nell'Europa medievale e moderna


Roberto MANCINI

domenica 7 aprile, ore 17 Archivio Storico


Nell'Europa medievale e moderna circolano una infinità di immagini assai singolari: cavalieri rivolti verso la coda del cavallo, lepri che trasportano a casa il cacciatore, pesci che mangiano i pescatori, volpi che impiccano le galline, maiali che diventano macellai.
E ancora: allievi che impartiscono lezioni ai maestri, servi che danno ordini ai padroni, uomini che filano la lana e accudiscono gli infanti... . Si tratta di immagini di mondi alla rovescia, di mondi allegorici, o come è stato detto, di “espedienti gnomici”. Potremo chiederci se tali rappresentazioni alludano a propositi di ribellione sociale, ma è bene essere prudenti del rispondere affermativamente all'interrogativo. Prima di tutto perché quello del “mondo alla rovescia” è un concetto nato in seno alle classi colte, grazie al quale esse potevano gettare addosso agli zotici e ai pitocchi il pesante sospetto di voler mettere a soqquadro il mondo. Di esempi ve ne sarebbero a non finire, basti ricordare che fu proprio con l'accusa di tentare di sovvertire l'ordine delle cose, di instaurare “un mondo alla rovescia”, che gli ebrei si scagliarono contro i primi cristiani. E secoli dopo i cristiani inquadrarono, col medesimo argomento “complottistico”, i seguaci di Lutero. D'altra parte anche i luterani nel 1525 usarono lo stesso ordigno ideologico - quello del sovversivismo - contro i contadini che protestavano, grimaldello che poi tornò utile anche ai cattolici francesi quando scesero in campo contro i calvinisti e ai calvinisti per accusare i cristiani...
Potremo dunque pensare che ogni minaccia all'ordine sia stata a volta a volta percepita, ed etichettata, come un tentativo di ribaltare il mondo. In verità ci sono casi in cui il gioco del ribaltamento non allude a propositi sovversivi: basti pensare alle inversioni rituali che si realizzano durante le feste di carnevale, a quelle che si riscontrano nelle cosiddette feste dei folli, nelle feste di Sant'Agata, o negli episodi di “riso rituale” - riuso paschalis - di alcune celebrazioni religiose nei paesi nordici. In questi casi siamo infatti in presenza non di ribellioni, ma di ben strutturate strategie di contenimento delle tensioni sociali; lo dimostra il fatto che in tutti questi casi, dopo il momento festivo o orgiastico-carnevalesco, seguiva immancabilmente la “restaurazione quaresimale” dell'ordine. Ciò non toglie che alcune di quelle ferite calendariali diventassero, pur nell'esplosione gioiosa e giocosa delle popolazioni chge ne erano protagoniste, occasioni per manifestare una qualche profonda sofferenza. Come nella festa della cuccagna (nel gioco di cuccagna – recitava una filastrocca -mai si perde e sempre si guadagna), con tutto quanto esso comportava in termini di “rappresentazioni” mentali, figurate e mitologiche del mondo alla rovescia, che era, soprattutto, un mondo senza la fame. Figurativamente agganciato all'immaginario delle città (e civiltà) utopiche, il “paese di cuccagna” era infatti il luogo dell'abbondanza e del piacere, soprattutto quello legato al cibo. Manco a dirlo, il paese di cuccagna era però difficile da trovare: per raggiungerlo bisognava compiere un lungo viaggio, e poi una volta che l'ardimentoso fosse giunto alla sua frontiera, avrebbe dovuto conoscere 'le parole giuste', per proseguire oltre. Né più né meno di quanto accadeva nei viaggi iniziatici nei mondi dell'oltretomba, o in quelli verso il paradiso terrestre. Il paradiso terrestre: un luogo anch'esso non soltanto lontano da noi, ma posto in un mondo agli antipodi del nostro, laggiù - agli antipodi - dove tutto si rovesciava. O, forse, non si rovesciava affatto.

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